VARI ARTICOLI DI GIORNALE

 

Gasolio nel Po di Volano
Per qualche ora si teme
una nuova emergenza

Quasi 20 litri di olio sono fuoriusciti da una conduttura del Consorzio di Bonifica. Immediati gli interventi per sistemare le barriere. Per il momento sembra che la chiazza scura sia stata fermata

Militari dell'esercito posano sbarramenti sulla macchia oleosa (Ansa)

Militari dell'esercito posano sbarramenti sulla macchia oleosa (Ansa)

Ferrara, 13 marzo 2010 - E’ stata la testimonianza di alcuni cittadini che hanno visto la lunga scia oleosa scorrere rapida sulla superficie del Po di Volano, già dalle 17 di ieri pomeriggio, a mettere in moto la macchina dei soccorsi. Il forte odore di benzina e le infondibili macchie dagli sgargianti colori dell’iride non lasciavano dubbi che si trattasse di idrocarburi. E così è stato.


"E’ dalle cinque che si sente questa puzza incredibile — dice un pensionato che insieme ad altra gente guarda l’acqua del Volano in Riviera Cavallotti, la via centrale di Codigoro —  con pezzi di canna, bottiglie di plastica che galleggiano sull’acqua: un vero disastro". Il primo pensiero è andato ad un residuo della macchia fuggita dalla raffineria di Piacenza e finita subito nel Lambro, poi ne Po e infine, anche se in minima parte, anche nel Po di Goro.

Ma per la morfologia del Po di Volano era impensabile che una parte di quella finita nel Po di Goro fosse defluita nel ramo più meridionale del grande fiume. Le prime notizie attribuiscono lo sversamento come conseguenza di una rottura di un tubo che trasporta carburante all’interno del Consorzio di Bonifica di Codigoro, dove le due grandi idrovore sono state sottoposte a forti regimi in questi periodi di forte piovosità per impedire che i terreni si allagassero. Sembra infatti che circa 20 litri di olio siano fuoriusciti da una macchina di sollevamento delle acque del Consorzio di Bonifica, finendo così nelle acque del grande fiume.


Il sindaco di Codigoro, Rita Cinti Luciani, chiamata lungo le sponde del fiume ha immediatamente allertato la Protezione Civile e la prefettura per mettere in moto gli interventi di bonifica della pericolosa sostanza. Immediato  quindi l'intervento dei Vigili del Fuoco di Codigoro e di Ferrara, che hanno monitorato il tratto del fiume fino all’omonimo lido, dove si getta nella sacca di Goro, allestendo arginature con i salsicciotti assorbenti.
 

Le chiazze, a quanto pare, nel corso della giornata sono state completamente raccolte dalle barriere: e proprio per scongiurare l'avanzata della macchia nera, nella notte è stata predisposta una barriera assorbente anche sotto le campate del Po di Volano, proprio a Volano. Nel caso in cui le sostanze fossero arrivate alla foce del Po, infatti, si sarebbe messa in pericolo l'intera Sacca di Goro con le sue coltivazioni di vongole. E i danni sarebbero stati notevoli. Intanto l'Arpa ha intensificato i controlli e i prelievi, per monitorare la qualità delle acque del grande fiume.


Disastro ambientale lungo lo Strone

«PROVINCIA DA SALVARE». Il caso nel tratto tra Verolanuova e Pontevico, in un'area che è salvaguardata a Parco dai Comuni della zona. L'allarme lanciato alle Vincellate
Sono stati recuperati dieci quintali di pesci morti, probabilmente a causa di un inquinamento chimico. Indagine della Procura

*                               07/03/2010

Zoom Foto

Uno scorcio del fiume Strone, zona protetta a parco

Disastro ambientale l'altro ieri lungo il fiume Strone tra Verolanuova e Pontevico. Un probabile inquinamento chimico, per mano di ignoti, ha provocato la moria di ben dieci quintali di pesce. Non si può paragonare per dimensioni allo scempio accaduto sul fiume Lambro nei giorni scorsi, ma è comunque una brutta ferita al fiume protetto da circa 30 anni da un parco locale di interesse sovracomuale. Splendide carpe di 5 chili, tinche, vaironi, cavedani, barbi, sono morti avvelenati e i loro corpi si sono fermati lungo la griglia della mini centrale idroelettrica presente lungo il fiume in località Vincellate di Pontevico. E' proprio il guardiano della centralina che ad avere lanciato l'allarme venerdì mattina alle otto, vedendo l'ecatombe di ittiofauna ma anche mezzo metro di schiuma bianca sul corso d'acqua e sentendo nell'aria un pungente e acre odore chimico. Sul posto è giunta in poco tempo l'Arpa, che insieme alla polizia locale di Pontevico e Verolavecchia ha risalito a ritroso il corso del fiume, alla disperata ricerca della fonte di inquinamento. Che non è stato trovato. Mentre hanno scoperto un grave inquinamento da reflui suini (migliaia di quintali), provocato da un grande allevamento di Verolanuova, che scaricando in due fossi irrigui finiva poi nello Strone. Sono scattate quindi due denunce penali alla procura della Repubblica: una contro ignoti per l'inquinamento chimico e una contro il titolare dell'azienda suinicola.
L'ARPA E L'ASL hanno provveduto a rilevare campioni di acqua e di pesce morto: verso il fine settimana dovrebbero essere disponibili i risultati che confermeranno le cause dell'avvelenamento dell'ittiofauna. Amaro il commento dell'architetto Luigi Fontana, uno dei padri del parco dello Strone, e attualmente responsabile della commissione tecnico-scientifica del parco: «Si tratta quasi certamente di un inquinamento di tipo chimico perché il guardiano della centrale idroelettrica ha sentito un odore acre di sostanze chimiche, non certo organiche; difficile che reflui zootecnici possano creare un danno così grande. Probabilmente qualche azienda a Verolanova o a Verolavecchia ha provveduto a svuotare qualche vasca dopo averla lavata con reagenti chimici. Potremo dire con esattezza di quali sostanze si tratta quando avremo i risultati delle analisi dell'Asl». Per Fontana l'inquinamento non dovrebbe aver raggiunto il fiume Oglio, dove sfocia lo Strone, ma essersi limitato al tratto compreso tra Verolanuova e Pontevico.
«HA FATTO davvero male - chiude Fontana - vedere il fiume ridotto in quelle condizioni. Sono anni che facciamo educazione ambientale nelle scuole ma purtroppo c'è ancora troppa ignoranza». Ma non è colpa di una legislazione troppo permissiva in materia ambientale? «Io non credo sia un problema di leggi ma di coscienza civile».
Vita più facile per gli inquinatori di fiumi nel nostro Belpaese: il Parlamento il 2 febbraio scorso ha approvato una legge che depenalizza il reato di scarico industriale nelle acque. E' il disegno di legge «Recante modifica della disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue» che modifica il comma 5 dell'articolo 137 Testo Unico Ambientale trasformando ciò che prima era reato penale (lo scarico industriale oltre i limiti di legge nei corpi idrici) in una mera sanzione amministrativa. In pratica chi scaricherà inquinanti oltre i limiti consentiti dalla legge se la caverà semplicemente con una multa che va da 3mila a 30mila euro. Sono esclusi dal provvedimento solo gli inquinanti particolarmente pericolosi come cadio, cromo, diossine. «Una legge dell' ecovergogna» l'ha definita il presidente nazionale dei Verdi Angelo Bonelli .P.GOR.

Pietro Gorlani


CATASTROFE AMBIENTALE LAMBRO-PO

Fiume Po. Cronaca di un disastro annunciato e depenalizzato

Pubblicato il 01 Marzo 2010

Sinistra Ecologia e Libertà- Idee Verdi dell’Emilia-Romagna appoggia la proposta del Presidente Errani di costituire la Regione parte civile. “Ci auguriamo - affermano - che proceda velocemente su questa strada.  Ma chi ha inquinato il Lambro pagherà? Forse, ma con maggiore difficoltà, a partire dall’inizio di febbraio, perché il Governo ha depenalizzato i reati per gli inquinatori.

La magistratura indaga ora sulle colpe e sui colpevoli del versamento di idrocarburi che ha ucciso il fiume e messo a rischio l’agricoltura e gli ecosistemi. Con tutta probabilità in quella vicenda si troveranno dei profili penali, soprattutto se c ‘è stato - come sembra - un sabotaggio per far chiudere la fabbrica e permettere una lottizzazione. Ma pochi giorni fa la maggioranza ha approvato una legge che depenalizza ulteriormente i reati di contaminazione delle acque, rendendo la vita più facile all’industria inquinante e più difficile a chi deve contrastarla”.

“Il 2 febbraio scorso, infatti, - ricorda SEL-Idee Verdi nella nota - è stata licenziata una modifica al codice ambientale (la legge delega voluta dal precedente governo Berlusconi, la 152 del 2006) che indebolisce le sanzioni. La norma prevede che può essere perseguito penalmente solo chi scarica inquinanti ad altissima tossicità, come mercurio, cadmio e gli stessi idrocarburi “oltre i valori limite” consentiti dalla legge. Gli altri - quelli sotto i valori limite dei veleni- se la cavano con una multa che va da 3.000 a 30.000 euro, così come quelli che scaricano sostanze meno tossiche anche se inquinanti.
Il governo non va certo nella direzione di inasprire le sanzioni per chi inquina. E la legge per la creazione dei crimini ambientali, che mettono a repentaglio la nostra salute, non è mai decollata”.

Per SEL-Idee Verdi “siamo davanti ad una COLPEVOLE sottovalutazione delle dimensioni e degli effetti del disastro ecologico. Si sono manifestate delle evidenti carenze di capacità e di mezzi. Nel momento in cui si è capito che non si era in grado di affrontare in termini positivi l’emergenza, cinicamente, si è scelto di non fare nulla, come appare evidente a chi ha frequentato i luoghi del disastro. Questo è un atteggiamento di “procurato non allarme” che, credo, tradotto dal nostro Codice civile, debba ascriversi all’omissione di atti d’ufficio”.

“Inoltre - concludono - emergono anche altri elementi critici:
• Principale responsabilità lombarda nella mancata attivazione dell’emergenza. Non si è trattato del solo inquinamento del Lambro. Il ricettore ultimo sarà il mare Adriatico. I lombardi avrebbero dovuto saperlo.
• Impreparazione ad affrontare emergenze ambientali in generale ed in particolare della Protezione civile emiliano-romagnola (vedi l’invio di attrezzature, pure sbagliate, da Tresigallo)
• Scarsità di mezzi e materiali (non sono stati usati, perché non disponibili, prodotti chimici disaggreganti)
• Assenza di una visione territoriale (di bacino) nel valutare gli impatti del disastro. È sembrato che la Protezione civile della Lombardia si preoccupasse solamente del Lambro. Sul Po si sono visti solo gli emiliani.
• Assenza di una regia unica come avviene sistematicamente su tutte le tematiche legate al fiume. Prevalgono sempre le logiche amministrative (in realtà sarebbe più corretto parlare di logiche politiche di governo); le regole in vigore in sponda destra sono diverse da quelle della sponda sinistra
• AIPO (che poteva essere individuata come titolare dell’azione necessaria) non regge alla prova dei fatti, troppo condizionata dalla politica, troppo zavorrata da funzionari senza conoscenze necessarie ad affrontare queste tematiche”.

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Milano, disastro ecologico nel Lambro
per il petrolio fuoriuscito da una fabbrica

"Atto doloso", è la prima valutazione. Ed è giallo sulla quantità finita in acqua
di Gabriele Cereda e Franco Vanni

Più di 2mila 500 metri cubi di petrolio e gasolio, finiti nel fiume Lambro. Un dramma ecologico cominciato alle 3.30 di martedì. All´inizio si è pensato a un attentato. Poi ci sono volute ore per scoprire la sorgente dell´onda nera, che è stata individuata solo in mattinata: è la Lombarda Petroli, un deposito di carburante a Villasanta, in provincia di Monza e Brianza.

Sabotaggio. I carabinieri visitano lo stabilimento e arrivano presto al dunque: è stato un sabotaggio. Le indagini dicono che nella notte qualcuno si è introdotto nell´azienda, una ex raffineria, dribblando controlli e telecamere di serveglianza. «Chi ha agito sapeva dove colpire», dicono gli investigatori. Intanto, la massa di olio puzzolente attraversa Milano uccidendo le anatre nei parchi, imbratta i campi del Lodigiano e minaccia il Po, dove il Lambro finisce la sua corsa. E mentre il prefetto di Milano mette in moto l´unità anticrisi nel tentativo di rallentare la corsa dei veleni, e allerta tutti i Comuni fino alla foce del Po, e la Provincia denuncia il «disastro ambientale», si affaccia un´ipotesi inquietante: l´apertura dolosa dei rubinetti del gasolio potrebbe essere parte di una gigantesca speculazione edilizia.

Le sette cisterne. Alla Lombarda ci sono 20 cisterne, di cui solo sette ancora in funzione: le uniche a essere state manomesse. «Chi ha agito sapeva». In pochi minuti il deposito è sommerso da un blob nero che si perde nei tombini, viaggia per 6 chilometri nelle fogne, intasa il depuratore di Monza e si riversa nel Lambro. Tutto era stato calcolato, da chi ha provocato il disastro ambientale. Nel Lambro finisce greggio a sufficienza per riempire 125 tir, e l´odore del petrolio vizia l´aria per chilometri. All´arrivo dei carabinieri, i dipendenti della Lombarda Petroli fanno resistenza, vogliono gestire da soli l´emergenza. Solo dopo le 8 i rubinetti delle cisterne manomesse vengono chiusi. 


Troppo carburante. L'attenzione degli inquirenti si concentra anche sul fatto che nel deposito c´era troppo carburante, molto più di quanto la Regione un anno fa aveva imposto di tenerne, decretando la "fine lavori" per lo stabilimento. L´area dell´ex-raffineria dal 2005 è al centro di un progetto di recupero approvato dal Comune di Villasanta, che intascherà 28 milioni in cambio della concessione a costruire un quartiere di 309mila metri quadri. «Un affare da 500 milioni di euro», dice il sindaco Emilio Merlo. A capo dell´affare immobiliare ci sono gli stessi proprietari dell´ex raffineria: i cugini Tagliabue e la Addamiano Costruzioni di Nova Milanese, che in Brianza ha firmato la milionaria e discussa riqualificazione dell´ex-Autobianchi di Desio.

"Saranno puniti". «I responsabili saranno puniti», annuncia Dario Allevi, presidente della Provincia di Monza e Brianza. «Per fortuna, sembra non ci sia stato danno per la salute pubblica», assicura la Asl milanese. Ieri tutte le forze di soccorso disponibili in Lombardia hanno lottato fino a sera per fermare la corsa del carburante verso valle: Protezione civile e vigili del fuoco, sommozzatori ed elicotteristi, prefettura, Regione e Provincia. Hanno steso file di galleggianti, hanno serrato le chiuse del fiume e provato a pompare via il gasolio. Ma a sera nemmeno un litro della melma puzzolente era stato stoccato in impianti ad hoc. Vista la portata della fuoriuscita - «almeno 2.500 metri cubi» - la macchina dei soccorsi ha faticato: a Milano il gasolio ha imbrattato gli argini e reso irrespirabile l´aria, a Melegnano è esondato riempiendo cortili e terreni coltivati, e a sera è arrivato vicino alla confluenza del Lambro col Po, dove ogni intervento è impossibile.

(23 febbraio 2010)

c'è chi ha approfittato della patina oleosa per sbarazzarsi di sostanze inquinanti

Po: bloccato l'inquinamento da petrolio, ma scatta l'allarme per gli «sciacalli»

Niente acqua potabile a Porto Tolle e Adria per lo sversamento di 1.2 dicloroetano nel fiume

c'è chi ha approfittato della patina oleosa per sbarazzarsi di sostanze inquinanti

Po: bloccato l'inquinamento da petrolio, ma scatta l'allarme per gli «sciacalli»

Niente acqua potabile a Porto Tolle e Adria per lo sversamento di 1.2 dicloroetano nel fiume

Analisi dell'acqua del Po (Emmevi)

Analisi dell'acqua del Po (Emmevi)

MILANO - L'inquinamento del Po causato dallo sversamento di centinaia di tonnellate di idrocarburi scaricate nel Lambro a causa del sabotaggio della Lombarda Petroli, uno dei suoi affluenti, è stato quasi totalmente fermato. Al momento nel Po «non ci sono tracce preoccupanti di idrocarburi». Ad assicurarlo è la Guardia costiera a conclusione dell'attività di monitoraggio sul fiume compiuta dal velivolo della Guardia costiera ATR 42 «Manta». «Ciò nonostante - spiega una nota - permane lo stato d'allerta dei mezzi navali della Guardia costiera dislocati alla foce del fiume, un pattugliatore e due motovedette, attrezzati con mezzi antinquinamento, pronti ad intervenire».
Una notizia confermata anche dalle analisi della Protezione civile. I riscontri incrociati delle analisi di sei Arpa provinciali appartenenti a tre regioni diverse «non hanno evidenziato lungo il Po valori da inquinamento di idrocarburi a valle dell'Isola Serafini a Piacenza e della barriera di Polesella». Lo ha reso noto il direttore della sezione Rischi Nazionali della Protezione civile, Nicola Dell'Acqua, al termine della riunione dell'Unità di Crisi, di cui è coordinatore. Pressoché la totalità della parte solida dell'ondata di idrocarburi transitata dal Lambro al Po è stata quindi effettivamente fermata dallo sbarramento di isola Serafini nel Piacentino.

IN AZIONE GLI SCIACALLI - Ma se l'allarme idrocarburi sembra rientrato vi sono ancora problemi per alcuni comuni vicini al fiume come Porto Tolle e Adria dove i sindaci hanno vietato l'utilizzo dell'acqua del rubinetto per scopi potabili e alimentari a causa di un inquinamento da 1.2 dicloroetano. Approfittando del velo oleoso provocato dagli idrocarburi che non permetteva di far vedere immediatamente l'ingresso in acqua delle sostanze inquinanti infatti alcuni criminali hanno provveduto a versare nel Po l'1,2 dicloroetano. Quest'ultimo conosciuto anche come cloruro di etilene è un composto cancerogeno, molto infiammabile, nocivo ed irritante per le vie respiratorie. Il suo principale utilizzo è come intermedio nella sintesi del cloruro di vinile , a sua volta precursore del Pvc (il polivinilcloruro, che è una delle materie plastiche di maggior consumo al mondo), ma è anche usato come agente sgrassante e diluente per vernici. «Il danno alle popolazioni deltizie, alle attività produttive e alla natura rischia così di essere veramente grave e inaccettabile – ha dichiarato Stefano Leoni, Presidente del WWF Italia – Chiediamo che tutte le istituzioni preposte sul territorio e in particolare Regioni e Province, avviino controlli urgenti su tutte le possibili situazioni a ‘rischio scarico’ lungo il Lambro, il Po e i suoi principali rami».

GALAN - Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan: «Stiano tranquilli che saranno scoperti coloro che hanno approfittato dell'emergenza idrocarburi nel Po per liberarsi di altre sostanze inquinanti» Il governatore del Veneto non ha dubbi sulle cause del nuovo allarme inquinamento affiorato sul Po polesano: «i dicloroetani non c'entrano con gli idrocarburi - sottolinea Galan - è evidente che qualche sciacallo ne ha approfittato. Ma fin dal primo momento di questa emergenza la Protezione Civile ha attivato voli per acquisire foto aeree e consentire analisi agli infrarossi. Sarà quindi possibile risalire ai punti di immissione in Po dei dicloroetani e ricercare i responsabili, che saranno senz'atro trovati».

Redazione online
01 marzo 2010(ultima modifica: 02 marzo 2010)


AMBIENTE & SALUTE

 

Caccia agli inquinatori del Parco dello Strone

domenica 07 marzo 2010

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(red.) Polizia locale, carabinieri, tecnici dell'Arpa e dell'Asl indagano sull'ultimo disastro ambientale verificatosi venerdì nella bassa provincia di Brescia. Ignoti criminali dell'ambiente hanno versato quintali di sostanze chimiche inquinanti nel fiume Strone.
stroneparco1.jpgSi tratta di un corso d'acqua lungo circa una ventina di chilometri che nasce in località Fenili delle Passere nel comune di San Paolo, attraversa Verolanuova, Verolavecchia e finisce nell'Oglio a Pontevico. Lungo il suo corso è stato creato un Parco locale sovraccomunale che si può visitare percorrendo una pista ciclabile.
A causa del misterioso sversamento c'è stata una strage di pesci: ne sono morti una decina di quintali e i corpi di migliaia di carpe, tinche, cavedani sono stati visti galleggiare davanti alla grata della piccola centrale idroelettrica che a Pontevico sfrutta il salto del fiume in località Vincellate.
Alle 8 del mattino di venerdì c'era una schiuma biancastra con un forte e acre odore di sostanza chimica, come ha segnalato il custode della centrale che - scrive il giornale
Bresciaoggi - ha lanciato l'allarme. Evidentemente, qualcuno di notte aveva versato il liquido velenoso nelle acque.
stroneparco4.jpgLe indagini non hanno trovato dov'è avvenuto lo scempio: risalendo il corso dello Strone non sono state trovate tracce degli avvelenatori. Forse qualche azienda di Verolanova o di Verolavecchia ha deciso di svuotare nottetempo le sue vasche dopo averle lavate con reagenti chimici. Solo i risultati delle analisi delle acque effettuati dall'Asl potranno identificare la sostanza.
Casualmente, nel cercare gli inquinatori chimici, la polizia locale ha scoperto che due vasche contenenti migliaia di quintali di reflui suini prodotti da un grande allevamento della zona di Verolanuova scaricavano irregolarmente in due fossi irrigui che finiscono poi nello stesso Strone.
stroneparco2.jpgLe denunce sono quindi state due: una contro ignoti per la sostanza chimica e una contro il titolare dell'allevamento.
Ma che cosa rischiano gli inquinatori? Poco, perché il 2 febbraio scorso il parlamento italiano su proposta del ministro Stefania Prestigiacomo ha approvato un disegno di legge, un solo articolo intitolato «Recante modifica della disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue» che depenalizza il reato di scarico industriale nelle acque trasformandolo da penale ad amministrativo (multa da 3 mila a 30 mila) tranne che per gli inquinamenti particolarmente gravi come quelli da cadio, cromo, diossine
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Temolo Russo



POLESELLA L’Udc denuncia lo stato dello scolo

Poazzo inquinato Altra moria di pesce

 

Oltre alla schiuma superficiale e agli odori nauseabondi, è tornata, puntuale, la moria di pesce. In questi giorni sono state trovate, lungo il corso dello scolo, delle carcasse di pesci siluro, di dimensioni anche superiori al metro di lunghezza. Il fatto ha destato nuovo e giustificato allarme. Il gruppo dell'Udc di Polesella si è riunito d'urgenza per fare il punto su questa grave situazione di inquinamento ambientale, stilando un comunicato che sintetizza lo sdegno nei confronti di questo ennesimo episodio che non va nella direzione di un'eventuale risoluzione del problema ambientale. È Sauro Periotto a farsi portavoce del gruppo e a far presente come la situazione sia già stata «denunciata ripetutamente nel corso degli ultimi anni sia da privati cittadini che dal Comitato costituitosi "ad hoc" nel 2007, ma anche da un comitato precedente costituitosi nel lontano 2000». Secondo il gruppo «già da tempo sono state individuate le manovre da adottare per ridurre ed eliminare definitivamente il problema che una popolazione deve subire per le inadempienze di altre amministrazioni locali». Si punta il dito ancora una volta contro il depuratore di Occhiobello, come «pure di qualche impianto industriale privato che sicuramente va a incidere sul livello di tossicità delle acque». L'inquinamento del Mainarda e del Santa Maria è un dato da tempo accertato. La moria della fauna ittica di questi ultimi giorni ha inasprito gli animi e i toni: lo scorso giovedì una troupe televisiva di Canale Italia ha addirittura confezionato un servizio sullo stato di inquinamento delle acque dal Mainarda sino al Poazzo. Tornano a protestare i residenti, torna a protestare il comitato Salviamo il Poazzo e a preoccuparsi per l'incolumità di chi vive nei pressi dello scolo: il fetore di questi giorni ha reso l'aria quasi irrespirabile e la moria di pesce ha completato un quadro allarmante.




Pattumiera Po




CatFishingItalia


Inquinamento da Ddt nel Lago Maggiore, l'Eni non si rassegna

Si tratta di una delle multe più sostanziose mai comminate per un reato ambientale, quella che il Tribunale di Torino ha inflitto all'Eni.

1,9 miliardi di euro per l'inquinamento delle acque del Lago Maggiore provocato dallo Stabilimento Syndial di Pieve Vergonte tra il 1990 e il 1996.

La sostanza chimica sotto accusa è il Ddt, prodotto fino al 1997 proprio nell'impianto chimico di proprietà della ex-Enichem.

Naturalmente l'Eni non ci sta e presenta ricorso, ma ricostruiamo un po' i fatti.

Continua da sopra:

Nel 1996 il laboratorio cantonale di Lugano segnala una "contaminazione diffusa" da Ddt nei pesci del lago, superiore ai limiti fissati dalla legge elvetica.

Successivamente anche le autorità italiane fanno le loro analisi, riscontrando una contaminazione fuori norma.

Risultato: la pesca viene vietata, stesso discorso per il consumo di pesce locale, con danni per tutto il settore, senza considerare quelli relativi alla salute.

Solo un anno dopo nell'aprile del 1997, in seguito al lavoro di due commissioni di analisi, l'impianto che produce Ddt viene chiuso, mentre rimangono aperte le linee cloro-soda, acido solforico e cloroaromatici.

Ma come arrivava il Ddt nel Lago Maggiore? Semplice, insieme ad altre sostanze pericolose (come il mercurio ad esempio), veniva riversato nel torrente Marmazza, passava poi nel fiume Toce e finiva quindi nelle acque del lago.

La multa decisa dal Tribunale di Torino, oltre alla bonifica del sito dove si trovava l'impianto (tuttora in corso), è anche inferiore rispetto a quella proposta dal ministero dell'ambiente, che aveva richiesto 2,396 miliardi di euro.

Se la condanna fosse confermata si tratterebbe di una delle punizioni più consistenti mai inflitte per un danno ambientale.

Per un approfondimento leggi Stabilimento chimico di Pieve Vergonte

Via Varese News

Stabilimento chimico di Pieve Vergante

Storia

La produzione

La crescita e l'importanza dello stabilimento avvenne di fatto nel dopoguerra quando, oltre alle precedenti, furono aggiunte nuove linee di produzione: cloro-soda con celle Krebbs, oleum, acido clorosolfonico, ammoniaca sintetica da cracking di metano, solfuro di carbonio, cloralio, DDT, acido ossalico, acido formico, fertilizzanti a base di N-P-K, mono e diclorobenzeni, solfato ammonico e tetracloruro di carbonio.

 

Lo stabilimento visto dalla superstrada del Sempione

A partire dagli anni sessanta ci fu una parziale riconversione delle linee di produzione che fece cessare, nel 1965, la produzione del solfuro di carbonio e, nel 1972, quella dell'acido formico e l'arrostimento della pirite. Negli anni successivi venne fermata la produzione di ammoniaca, di acido ossalico e solfato ammonico (1975), dei fertilizzanti (1976) e del tetracloruro di carbonio (1990); nel 1974 è inoltre cessata la lavorazione del cloro-soda per mezzo delle celle Krebbs.

Vennero però aggiunti nuovi impianti e nuove linee di produzione per sostituire le precedenti: impianto elettrolisi con celle De Nora ad amalgama e nuovo impianto mono e diclorobenzene (1961), forno a zolfo per acido solforico (1972), mono e diclorotolueni (1985), termocombustore (1993) e abbattitore Sox (1994).

 

Il cartello dell'uscita Pieve Vergonte indicante lo stabilimento già EniChem Synthesis

Rumianca S.p.A., SIR-Rumianca, EniChem Synthesis S.p.A.

Quando lo stabilimento venne fondato era di proprietà della società Stabilimenti di Rumianca, divenuta Rumianca S.p.A. nel 1941. Nel 1967 la Rumianca venne assorbita dalla SIR e nacque il gruppo SIR-Rumianca.

A seguito della crisi irreversibile del gruppo, che dette poi luogo ad una lunga serie di cause giudiziarie [1], il legislatore decise, con la Legge 28 novembre 1980 n.784, il passaggio di proprietà al gruppo ENI in data 9 dicembre 1981; il 1º aprile 1982 l'ENI trasferì le attività industriali alla società Anic la quale, in data 1º giugno 1983 conferì lo stabilimento alla società EniChimica Secondaria S.p.A. (che dal 1981 gestiva le società del gruppo Anic specializzate nella chimica secondaria e fine). Successivamente, in data 20 settembre 1984, EniChimica Secondaria S.p.A. conferì tutte le attività del settore alla neonata EniChem Sintesi S.p.A. che, il 29 luglio 1987, venne definitivamente denonimata EniChem Synthesis S.p.A..

L'inquinamento da DDT e la cessione a Tessenderlo Italia

Nei primi mesi del 1996 una rilevazione fatta dal Laboratorio Cantonale di Lugano (Svizzera) sulle acque del Lago Maggiore denunciò un'allarmante presenza di DDT nei pesci del bacino; venne quindi messa gravemente in discussione la produzione di tale sostanza che, insieme ad altre rifiuti di scarto come il mercurio, venivano scaricate nel torrente Marmazza, dove poi finivano nel fiume Toce e quindi nel lago. Così l'11 giugno 1996 le autorità italiane effettuarono anch'esse analisi sui pesci, trovando una contaminazione che superava i limiti di legge; per questo la pesca e il consumo di pesce locale fu vietato in tutto il bacino del lago Maggiore.

Il 17 giugno 1996 il Ministero dell'Ambiente bloccò provvisoriamente lo scarico idrico dell'impianto DDT, e ordinava la rimozione e smaltimento dei rifiuti giacenti, comprese le ceneri di pirite, la messa in sicurezza dei siti di immagazzinamento, il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee, del suolo e del sottosuolo. Furono quindi istituite due commissioni di analisi che portarono alla chiusura definitiva dell'impianto di produzione del DDT in data 17 aprile 1997.

La sospensione della produzione del DDT portò, il 30 giugno 1997, alla conseguente chiusura delle linee produttive del cloralio (intermedio per la sintesi del DDT) e dell'acido clorosolfonico. Il 1º gennaio 1997 la nuova linea produttiva era già così costituita: linea cloro-soda (cloro, soda caustica, ipoclorito di sodio, idrogeno), linea acido solforico (acido solforico, oleum, bisolfito sodico), linea cloroaromatici (clorobenzene, diclorobenzeni, clorotoluene, diclorotolueni).

A seguito poi del piano di ristrutturazione presentato dall'EniChem nel 1991 che prevedeva, tra i vari punti, l'uscità dal settore della chimica secondaria e fine, il 1º luglio 1997 gli impianti produttivi sono passati dall'EniChem alla società belga Tessenderlo Italia Srl. Attualmente, dell'intero stabilimento originario, è attiva solo una parte, gestita appunto dalla Tessenderlo ma i terreni, come quelli dell'area rimanente dismessa, sono tuttora di proprietà dell'EniChem.

La situazione attuale

Dopo lo scandalo del DDT lo stabilimento ha perso l'importanza che aveva in passato; nel corso degli anni la società Tessenderlo Italia ha soppresso diverse linee di produzione.

Nel mese di novembre del 2007, dopo la presentazione in estate di un piano industriale assai poco convincente, la proprietà ha reso noto un contatto con un'azienda chimica veneta che sarebbe interessata, come partner, a produrre nello stabilimento acido cloridrico e chimici primari per la conceria,poi in futuro anche la conversione delle celle elettrolitiche da mercurio a membrana e anche la possibilita'di produzione di circa 8mw di elettricita' usando il sistema delle fuel-cells con utilizzo dell'idrogeno produtto dall'elettrolisi. Attualmente si sta studiando dove posizionare i macchinari per queste nuove produzioni; il punto più indicato è quello dell'area dove in passato si produceva il DDT che è però sotto bonifica da parte della SyndialI lavori termineranno fra un anno e mezzo circa.

Altro punto indicato è quello dell'attuale area cloro-soda per cui Tessenderlo, in estate, aveva annunciato la chiusura per il 20 dicembre 2007; sempre in novembre però, Tessenderlo ha invece ribadito la possibilità di continuare con queste produzioni. La conferma è stata data nel mese di maggio 2008 quando, con la presentazione del nuovo piano industriale per il triennio 2008/2011, Tessenderlo ha annunciato l'intenzione di mantenere l'impianto cloro-soda e di potenziare quello per la produzione di clorotolueni; verrà invece chiuso, per motivi di competitività, l'impianto per la produzione di clorobenzeni, attivo dal lontano 1961.

L'inquinamento del sito

 Il cartello Syndial indicante l'area da bonificare

Oltre all'inquinamento da DDT (sopra citato), l'area dello stabilimento è purtroppo inquinata in maniera assai grave per la grande attività lavorativa della fabbrica degli ultimi 100 anni. [2] In modo particolare il terreno e le falde acquifere limitrofe risultato pesantemente contaminate da mercurio, arsenico, cloroderivati e altri veleni.

Nel 1998 la legge 426 inserì lo stabilimento di Pieve Vergonte fra le 16 aree ad elevato rischio ambientale prevedendo lavori di bonifica del sito. Oltre a Pieve Vergonte, la legge prevedeva la bonifica dei siti industriali di Porto Marghera, Cengio, Napoli orientale, Gela e Priolo, Manfredonia, Brindisi, Taranto, Piombino, Massa e Carrara, Casale Monferrato, litorale domizio-flegreo e Agro Aversano, Pitelli (La Spezia) e Balangero.

La Syndial (ex EniChem) ha garantito la bonifica della zona ma il tutto procede a rilento, anche per la grande quantità di lavoro da fare. Nel 2001 è stato costruito un depuratore (gestito da Syndial) a fianco degli impianti in modo da depurare le acque presenti nella falda sotterranea, estratte da pozzi interni; con questo sbarramento idraulico le acque inquinate dalle terre soprastanti, intrise dai veleni sopra citati, dovrebbero defluire pulite nel Toce e quindi nel Lago Maggiore.


PESCARE GIUGNO 2008

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NATIONAL GEOGRAFIC

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APRIAMO GLI OCCHI E GUARDIAMO IL CIELO.PDF


VIAGGIO TRA I MALI DEL GRANDE FIUME.PDF


Pesci morti a Baricetta
Allarme inquinamento

Ignoti avrebbero versato sostanze tossiche nell'acqua, provocando un grave danno ambientale e la morte di tutti i pesci nell'emissario Boniolo, a Baricetta. I campioni analizzati dai tecnici Arpav

Moria pesci

 

Rovigo, 28 maggio 2008 - Allarme per la moria di centinaia di pesci di ogni dimensione, fra i quali anche alcuni grandi siluri, rilevata nello scolo ‘Emissario Boniolo’ nei pressi dell’idrovora Canton Basso di Baricetta.

 

L’ipotesi più accreditata, confermata anche dall’assessore comunale all’Ambiente che ha relazionato in consiglio comunale, è che la moria di una quantità così ingente di pesce sia dovuta allo sversamento da parte di ignoti, difficilmente rintracciabili, di materiale tossico derivante magari dal lavaggio di qualche cisterna. Forse qualcuno nei giorni scorsi, approfittando delle piogge abbondanti, ha versato nel corso d’acqua sostanze tossico nocive o fertilizzanti usati in agricoltura che sono stati letali per i pesci.

 

Non appena ricevuta notizia, l’assessore Ferro ha messo in atto le necessarie procedure previste in questi casi e ieri mattina si è svolto in Comune un incontro. Si è appreso che la bonifica dell’area interessata sarà svolta da Polaris, mentre con apposita ordinanza sindacale verranno vietate la pesca e l’irrigazione con l’acqua del Boniolo, in attesa dell’esito delle analisi. Ci sono volute circa tre ore lunedì sera prima che i tecnici del consorzio di bonifica Polesine Adige Canalbianco, dopo essere stati avvisati della presenza dei pesci morti, disattivassero verso mezzanotte le apparecchiature di sollevamento dell’idrovora, per cui molte carcasse erano state nel frattempo tritate.

 

Sul posto di questo disastro ambientale si sono radunati molti cittadini, lo stesso assessore Ferro ed il consigliere comunale del gruppo civico ’15 Aprile 2005’ Lanfranco Milani. Del fenomeno sono già stati avvertiti l’Arpav e l’Azienda Ulss 19. Ieri intanto sono stati eseguiti i primi prelievi di campioni di acqua e di pesci, per accertare le cause della loro morte. Nei dintorni dello specchio d’acqua interessato, anche per il notevole aumento della temperatura che accelera il processo di decomposizione dei pesci morti, si avvertiva una puzza insopportabile per cui sono iniziate anche le proteste dei residenti.

 

Il servizio veterinario dell’Azienda Ulss 19 è intervenuto sul luogo assieme all’Istituto zooprofilattico di Adria. L’esame degli esperti sul pesce, in prevalenza siluri, carpe e luccioperca, esclude come causa di morte la presenza di malattie infettive e parassitarie, dando come possibile causa l’avvelenamento da idrocarburi o sostanze analoghe. Campioni di acqua e di materiale in sospensione sono stati prelevati dall’Arpav di Rovigo per accertare la presenza di sostanze inquinanti.

di Adelino Polo


 

Monticelli - Schiuma nel Po: l'esito dei controlli Arpa

«Scarichi di case e allevamenti»


All rights reserved to legal owner.MONTICELLI - Tensioattivi e agglomerati proteici derivati da aziende zootecniche: ecco l'origine delle strisce di schiuma diffuse per centinaia di metri lungo la superficie del Po, a valle dello sbarramento idroelettrico di Isola Serafini. E' quanto emerso dai controlli dell'Arpa, che è intervenuta per verificare la situazione di cui abbiamo riferito ieri. I tecnici piacentini, che hanno riceanche dopo la segnalazione di alcuni appassionati del Grande Fiume, hanno fatto i rilievi e i campionamenti del caso. Le analisi per definire il carico organico e la concentrazione di tensioattivi sono in corso, ma di fatto, spiega Vittorino Francani dell'Arpa Valdarda, è già possibile identificare la presenza di tensioattivi e agglomerati proteici, derivati con molta probabilità da acque di natura domestica e zootecnica. Altrettanto certa, dice l'esperto, è l'assenza di idrocarburi in superficie. «Non è un evento eccezionale - precisa Francani -. Sul Po può accadere alcune volte l'anno che si verifichi una situazione anomala come questa. Capita quando le condizioni meteo sono tali da consentire un forte dilavamento dei canali e torrenti immissari o l'attivazione del sistema di bypass degli impianti». Per evitare che un eccessivo carico d'acqua sollevi i fanghi di depurazione e crei problemi agli impianti di scarico di abitazioni e aziende, infatti, si attiva automaticamente il "sistema di bypass", che devia le acque direttamente nel fiume.

a. s.


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05 Giugno, 2008
Provincia CR: Commissione Ambiente su Po e Tamoil

Un consiglio provinciale sul tema del Po, aperto alle istituzioni, associazioni, enti che a livello regionale e nazionale si occupano del Grande fiume, da tenersi subito dopo la pausa estiva.

E’ la proposta scaturita dalla commissione Ambiente della Provincia, riunita per discutere di due mozioni, presentate dai consiglieri Giampaolo Dusi del Prc e da Carlo Rusca del Gruppo delle libertà.Entrambe le mozioni esprimono la preoccupazione per come sono andate le cose dopo il Congresso nazionale del Po tenutosi a Piacenza, dove la Provincia di Cremona, con il sostegno della Regione Lombardia e anche dell’Emilia Romagna, aveva proposto un progetto di utilizzo multifunzione del Po, che ha come cardine la regimazione del tratto medio del fiume, al fine di consentirne la navigabilità, l’uso irriguo delle acque e la produzione di energia idroelettrica, ma anche una rinaturalizzazione delle sponde e la promozione turistica.

Invece i 180 milioni stanziati dalla Finanziaria del precedente governo verrebbero utilizzati dall’Aipo per la realizzazione del proprio progetto, che prevede una sistemazione idraulica a corrente libera, che secondo la commissione non risolve i problemi o li risolve solo parzialmente.

Lo ha ammesso lo stesso presidente della Provincia Giuseppe Torchio, secondo il quale vi sono da superare alcune criticità, riferibili, ha detto, al Piemonte e al disinteresse del Veneto, anche se la Commissione europea dei Trasporti pare orientata a procedere concretamente.

Tuttavia, Torchio ha detto di preferire considerare la parte mezza piena del bicchiere: 81 milioni di euro, infatti, verranno destinati al riassetto idraulico, all’aumento della capacità di laminazione delle fasce fluviali e alla ricostruzione morfologica dell’alveo di piena. E questo, ha affermato, non è ininfluente anche ai fini di una migliore navigabilità del fiume. Quasi cinquanta milioni serviranno inoltre per azioni mirate alla conservazione dell’integrità ecologica della fascia fluviale e della risorsa idrica. Con altri quaranta milioni si interverrà sul sistema della fruizione e dell’offerta culturale e turistica.

Torchio ha concluso affermando la necessità di un coordinamento con l’Autorità di bacino e con l’Aipo per procedere uniti sulle opere che vogliamo realizzare nel nostro territorio.

Il consigliere Sandro Gugliermetto (Partito democratico) ha spostato l’asse dell’attenzione. Le due mozioni, ha detto, pur valide e condivisibili parlano solo a noi stessi. La verità è che non siamo ancora riusciti a far comprendere che il tema del Po, la necessità della sua regimazione non è un problema locale, ma nazionale ed europeo. Più che di tecnici e di progetti, dunque, abbiamo bisogno di un progetto di comunicazione, di coinvolgimento, di convincimento. A dimostrazione di questo Gugliermetto ha citato il documento di due associazioni ambientaliste, secondo le quali si dovrebbe negare, per ragioni ambientali, la navigazione commerciale, cioè il trasporto di merci, lungo il Po, quando proprio ragioni ambientali ne dovrebbero suggerire lo sviluppo!

Al secondo punto dell’ordine del giorno della seduta era un aggiornamento sulla situazione dell’inquinamento nell’area esterna alla Tamoil da parte del direttore dell’Arpa Paolo Beati, con particolare riferimento agli ultimi avvenimenti, che hanno portato all’ordinanza di chiusura della Canottieri Bissolati a causa del gas potenzialmente esplosivo spinto in superficie dalla piena del Po dei giorni scorsi. Il dottor Beati ha ripercorso le tappe della vicenda, con i quattro anni di rilievi e interventi sull’inquinamento del terreno e delle falde, fino ai rilievi dei gas interstiziali, eseguito questa primavera.Il fenomeno della risalita dei gas in superficie, ha detto, è avvenuto ad ogni piena del Po. Questa volta si sapeva della loro esistenza, e quindi il fenomeno è stato segnalato.

Alla contestazione del fatto che la segnalazione fosse arrivata da un addetto della Canottieri e non preventivamente dalla stessa Arpa, Beati ha risposto che una tale previsione non poteva essere fatta. E ha aggiunto che sotto l’aspetto ambientale in realtà non è successo nulla di rilevante, in quanto i gas non sono usciti nell’atmosfera ma si sono incanalati in pozzetti o alcuni ambienti chiusi e permeabili rispetto al terreno. I vigili del fuoco, invece, hanno rilevato un potenziale pericolo per l’incolumità delle persone per possibili esplosioni, e questo ha provocato l’ordinanza di chiusura. Anche i dati sui gas, ha concluso Beati, confermano le conoscenze già ottenute dai rilievi precedenti circa il perimetro interessato all’inquinamento del sottosuolo. Naturalmente il dibattito si è vivacizzato intorno al ruolo dell’Arpa e alla mancata, secondo il presidente della commissione Andrea Ladina, segnalazione del problema. Il consigliere Tamagni del Pd, ha apprezzato il lavoro dell’Arpa, che ha giudicato serio, e si è detto soddisfatto “non della situazione, ma del fatto che tutti i dati confermano che non è cambiata rispetto a quanto si sapeva, e questo significa che i primi interventi stanno funzionando”.

Sandro Gugliermetto ha chiesto se si possa parlare di bonifica per l’intera area. Beati ha ribadito che per l’area interna allo stabilimento parlare di bonifica è improprio finché la produzione resta attiva: si può parlare di messa in sicurezza, mentre per l’area esterna una bonifica è possibile, una volta ottenuti dati definitivi. E’ solo una questione di costi.

Beati ha infine accennato a una proposta che l’Arpa di Cremona sta portando avanti: la realizzazione di una rete di cinque centraline fisse, una mobile e degli strumenti di rilevamento ai camini delle principali aziende, collegate fra di loro, con l’obiettivo di monitorare “in continuo” l’aria e la ricaduta reale delle emissioni in città.



LIBERTA' di giovedì 6 marzo 2008 > Provincia


La Regione ha approvato il Piano ittico improntato alla difesa degli habitat e del ripopolamento di specie autoctone

Un milione di pesci per far vivere i fiumi

Aveto e Trebbia i corsi d'acqua più pescosi, ma le insidie sono tante


All rights reserved to legal owner.PIACENZA - Tutelare e incrementare la presenza nei corsi d'acqua delle speci autoctone, sempre più a rischio, così la parola chiave del piano ittico regionale è ripopolamento (nei corsi d'acqua dell'appennino piacentino vengono immessi annualmente 1 milione e mezzo di uova). In breve è l'obiettivo sotteso al piano ittico regionale e che, a cascata, si trasferirà anche a quello provinciale in via di revisione. Nulla di sostanzialmente nuovo rispetto alle indicazioni del precedente piano anche perché i rischi per la fauna ittica, rappresentati dall'inquinamento, dalla diminuzione della quantità d'acqua nei fiumi e torrenti (eloquenti la tabella a lato), e dagli interventi umani di regimazione che provocano un'alterazione dell'habitat favorevole oltre a rappresentare un ostacolo per la risalita dei pesci, non sono problemi nuovi. Lo sforzo - spiegano in Provincia - va nella direzione di ridurre gli effetti negativi di questa situazione. Il primo passo, dunque, è rappresentato dall'immissione di fauna autoctona, quella più a rischio anche per l'aumento della presenza di specie invasive come il siluro, l'aspio, l'abramide per il Po. Ma le macchie nere per la sopravvivenza dei pesci sono tante e talune preoccupanti, indicatori anche di un progressivo decadimento ambientale.
storioni estinti - Un esempio in negativo su tutti è rappresentato dalla zona della Bassa dove sono a rischio di estinzione il luccio la tinca, l'anguilla e lo storione, quest'ultima la specie più a rischio. Ed è sullo storione che l'Amministrazione provinciale ha messo in atto un "progetto life" che consiste nell'introduzione di 3mila esemplari di lunghezza tra i 30 e 40 centimetri. Un modo - segnalano in via Garibaldi - per sostenere il ripopolamento. Una pratica che si sviluppa da tempo anche per le trote fario e che si avvale di tre strutture chiamati incubaotoi a Canadello di Ferriere, Bobbio e Lugagnano. Complessivamente si contano in 1milione e mezzo le uova con cui vengono ripopolati i tratti della parte montana del territorio.
zone no kill - Altro strumento di controllo della popolazione ittica è rappresentato da zone "no kill", previste dal piano regionale e che esistono anche nel territorio piacentino. Si tratta di zone a regime speciale come quella da Ponte Organasco a Rio Codogno, qui è possibile pescare, ma poi il pescato va ributtato in acqua oppure un altro tratto tra Berlina e Brugnello (tra i comuni di Bobbio e Cortebrugnatella) dove del pescato si può trattenere un solo esemplare. Sono aree istituite nel 2003 e che ora con il nuovo piano ittico potranno essere riviste, ampliate o ridotte a seconda dei risultati avuti dal monitoraggio di questi anni.
i volontari Proseguirà ancora la collaborazione tra la Provincia e le associazioni dei pescatori presenti sul territorio (Fips, Arci-pesca, Unpem e Enal pesca) come previsto dal Piano ittico regionale. Aspetto significativo del complesso funzionamento della macchina ittica provinciale, se così la si può chiamare, è dato dal rapporto tra la Provincia e le associazioni dei volontari. «Sono 100 le guardie ittiche e svolgono un'opera di vigilanza importante oltre a collaborare nei ripopolamenti nelle tabellatura». E col nuovo piano provinciale, se sarà possibile, si conta d'incrementarle.
l'investimento in pesci - L'investimento annuale per il ripopolamento ammonta a 50mila con 1milione 200mila uova di trota di fario da allevamento negli incubatoi a cui si sommano quelli "coltivati" per il ripopolamento del lago Moo e salgono così a 1milione e mezzo; a questi vanno aggiunte 110mila trotelle da 4 a 6 centimentri immesse nelle acque principali del corsi d'acqua; 5 quintali di trote fario da 18-22 cm immesse nelle zone speciali no kill; 10 quintali di trote fario tra i 27-30 cm portate nelle dighe di Molato e Mignano per pronta pesca. 4mila sono i lucci 4-6 che vengono rilasciati nelle parti risorgive e nelle lanche oltre a 5mila temoli, specie pregiata "seminata" nella parte alta di Trebbia e Aveto: obiettivo il ripopolamento di una specie considerata pregiata.
campeggio per il carp-fishing - Sempre seguendo le indicazioni del piano ittico sono previste alcune aree per il "carp fishing" e si trovano in 7 località diverse. Da citare il caso di Monticelli e Caorso che hanno permesso il pernottamento con le tende per consentire questo tipo di pesca. Altra iniziativa prevista dal piano e già applicata riguarda il recupero del pesce che si trova in zone interessate a lavori o colpite dalla siccità «In questo caso - spiegano in Provincia - siamo dotati di elettrostorditori. Semplicemente li preleviamo dai punti critici in cui gli animali sarebbero votati a morte sicura e li trasferiamo nelle zone più alte.
a.le.


Centinaia di telefonate di cittadini a vigili e pompieri, preoccupati per il forte odore di carburante


Vicenza
Maxi inquinamento da kerosene fuoriuscito dall'oleodotto Nato. Con un'onda inquinante che, partendo dall'Astichello, nella zona industriale di Cavazzale, ha attraversato Vicenza da nord a sud, sulla superficie del Bacchiglione. Con un allarme lanciato dall'assessore provinciale alle acque Paolo Pellizzari: «Siamo di fronte ad un vero e proprio disastro ambientale».

È accaduto ieri. Tutto è iniziato alle nove, quando ha cominciato a squillare il telefono del municipio di Monticello Conte Otto, con numerossissime segnalazioni di cittadini che parlavano di un forte odore di "gasolio" (ma era kerosene) in via Zanella e via Chiesa, lungo l'Astichello, e di una macchia oleosa sull'acqua. Il problema in realtà era insorto alle sette del mattino, ed era già stato rilevato dalla ditta che gestisce il tratto vicentino del maxi oleodotto dell'Aeronautica militare, che da Livorno arriva ad Aviano e rifornisce di kerosene le basi militari americane. I tecnici della ditta, la I.G. di Verona, avevano infatti rilevato un anomalo calo di pressione e si erano precipitati a Cavazzale.

È qui che si era verificata la perdita. E il danno ormai era fatto: ettolitri di kerosene si erano riversati e si stavano riversando nell'acqua, provocando già una morìa di pesci. Sul posto sono state mandate anche le squadre antinquinamento della Provincia, a cui si sono aggiunti i tecnici dell'Arpav. È stata sistemata una barriera oleoassorbente sull'Astichello, ma intanto l'onda di kerosene scendeva inesorabilmente a valle, verso Vicenza.

Già nel primo pomeriggio residenti del capoluogo hanno cominciato a telefonare ai vigili del fuoco e alla polizia locale per seganalare il forte odore di carburante che si avvertiva nelle zone di Ponte degli Angeli, San Pietro, nei pressi dell'ospedale all'altezza della ex motorizzazione, in viale Giuriolo e, in serata, lungo la stessa Riviera Berica. Il kerosene aveva raggiunto anche il Bacchiglione.

L'assessore Pellizzari s'è mosso personalmente, mentre precedentemente era stato allertato il prefetto e la stessa Digos. La sezione antiterrorismo della questura è intervenuta perchè l'estate scorsa lo stesso oleodotto era stato oggetto di un mancato attentato, nella zona industriale di Cavazzale, a poche centinaia di metri da dove ieri s'è verificato lo sversamento di kerosene.

Fino a ieri sera però gli investigatori della Digos si sentivano di escludere «al 99 per cento» di essere di fronte ad un attentato: la perdita di kerosene infatti sarebbe avvenuta in un tratto interrato dell'oleodotto, un punto praticamente impossibile da raggiungere senza uno scavo. Di fatto, l'ipotesi più accreditata è quella di una falla nella struttura "a camicia" della condotta: la struttura più interna si sarebbe rotta, la pressione del kerosene tra questa struttura e quella esterna avrebbe poi provocato la fuoriuscita per pressione del carburante.

Fino a ieri sera a tarda ora i tecnici dell'Arpav, dell'antinquinamento della Provincia e dei vigili del fuoco, arrivati con un gommone, hanno letteralmente inseguito l'onda di kerosene che attraversava il Bacchiglione, calando in acqua le barriere oleoassorbenti. Solo questa mattina si potranno fare i conti sui danni: «Di certo sono ingenti - ha detto l'assessore Pellizzari - Il timore è che il kerosene intacchi le risorgive. Ora dobbiamo solo lavorare per limitare questo inquinamento, comunque già gravissimo. Poi sarà il caso di capire di chi siano le responsabilità di un simile disastro».

Antonio Bochicchio.

Valerio Bassotto






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Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente

 
14/07/2007 12.00.13

 

BRACCONIERI NEL TICINO: ROM PESCANO PESCI SILURO ED I CINESI PESCANO CON UCCELLI PREDATORI LEGATI

 

 

 

BRACCONIERI NEL TICINO RUMENI PESCANO PESCI SILURO DA INVIARE IN ROMANIA MENTRE I CINESI PESCANO CON L’AUSILIO DI UCCELLI PREDATORI LEGATI LUNGO LE RIVE DEI CORSI D’ACQUA IN LOMBARDIA E PIEMONTE. Milano/Novara (14 luglio 2007) Il fenomeno è allarmante e per questo motivo l’associazione italiana difesa animali ed ambiente che ha raccolto segnalazioni in merito alla pesca di frodo che avviene nel fiume Ticino ad opera di bracconieri di origine cinese e di etnia rom rumena ha deciso di continuare a raccogliere le segnalazioni e di presentare poi un’esposto dettagliato alle procure della repubblica di Milano, Abbiategrasso e Novara. Il fenomeno della pesca di frodo nelle ore notturne è un fenomeno piuttosto diffuso nel ticino come nel Po, dove cittadini di etnia rom di origine rumena pescano di frode durante le ore notturne con l’ausili di barche e di corrente elettrica, in questo caso, secondo le indicazioni giunte all’associazione animalista AIDAA i bracconieri punterebbero principalmente ai pesci siluro, pesci onnivori di enormi dimensioni, considerati molto pregiati sul mercato ittico dei paesi dell’est Europa. I pesci una volta pescati e sezionati sarebbero conservati in congelatori e inviati entro pochi giorni con camion-frigorifero che transitano sull’autostrada Milano-Torino direttamente in Romania ovviamente in maniera illegale. Ma il fenomeno non si ferma alla pesca notturna dei bracconieri rom e rumeni le cui ultime “prodezze” sarebbero state segnalate nella zona di Bernate Ticino e sulla corrispondente sponda novarese. Infatti in più di un’occasione gli stessi guardia parco del Parco del Ticino hanno fermato dei bracconieri cinesi ed asiatici intenti a pescare di frodo per poi utilizzare il pesce a scopo commerciale rivendendolo ai ristoranti. Particolarmente curioso il metodo escogitato dai cinesi per ottenere grosse quantità di pesce in poche ore: secondo un’antico metodo in uso nei paesi orientali infatti i cinesi raggiungono il ticino su entrambe le sponde utilizzando per pescare uccelli che a loro volta si cibano di pesce. Gli uccelli vengono legati e posizionati lungo i corsi d’acqua (ticino e sistema navigli e villoresi sulla sponda lombarda e canale regina sulla sponda piemontese), quando gli uccelli catturano un pesce questo gli viene strappato dalla bocca e poi rivenduto ai ristoranti. “Sia il fenomeno della pesca di fronde con gli elettrostorditori praticata dai rumeni di notte di cui abbiamo avuto alcune segnalazioni in questi giorni, sia la pratica della pesca con gli uccelli predatori usata dai cinesi di cui abbiamo ampie conferme anche dai guardia parchi del Ticino- ci dice Lorenzo Croce presidente nazionale AIDAA- sono da condannare, e nel secondo caso crediamo che si presuppongano anche i reati di matrattamenti a danno degli uccelli usati per cacciare. Gravissimo inoltre- conclude Croce- che i pesci pescati di frodo finiscano sulle tavole dei ristoranti di qualunque etnia siano, in quanto non sono sottoposti ai controlli previsti dalla legge, su questo speriamo intervengano le autorità competenti, noi siamo sempre disponibili a fornire le segnalazioni ricevute a chi di dovere”.

 

Autore: Lorenzo Croce

 





«Angeli custodi» del pesce siluro in guerra contro l'inquinamento

 

CREMONA — Ecopescatori e angeli del Po e di tutti i corsi d'acqua dove vanno a pesca. Sono gli iscritti alla Associazione Gruppo Siluro Italia, oltre duecento soci, concentrati principalmente tra Lombardia ed Emilia Romagna. Una sorta di sfida quella intrapresa dall'associazione, che fin dal suo nascere aveva al primo posto la tutela degli ambienti fluviali. Una sfida contro tutti quelli che ritengono il solo pesce siluro come responsabile del degrado ambientale. Fotografie, video girati sia di giorno che di notte a testimoniare di quanto male ancora si va facendo lungo i fiumi, il Po prima di tutti.
«Si vuole andare a colpire una specie di pesce, che certo non è autoctona, ma che tuttavia è presente da oltre cinquant'anni», spiega Alberto Magagnato uno dei consiglieri nazionali dell'associazione. «Il vero responsabile del degrado del fiume è l'inquinamento, che di fatto favorisce le specie che meglio riescono ad adattarsi» prosegue Magagnato.
Da sottolineare che gli iscritti alla associazione si definiscono obiettori di coscienza. La legge sulla pesca infatti prevede che ogni qualvolta venga pescato un pesce alloctono - non originario della zona - questo sia abbattuto. Loro pescano i siluri li pesano e poi li lasciano liberi. Il materiale raccolto finora è finito nell'archivio dell'Associazione e sarà valutato ai fini di presentare anche degli esposti alle procure competenti. Ma non sono solo gli abusi ambientali che vengono rilevati dai pescatori del Gruppo Siluri.
Nel mirino anche i pescatori di frodo e gli escavatori abusivi. Ad esempio stando ad alcune segnalazioni raccolte nella zona del delta del Po il pesce verrebbe pescato per poi essere caricato su grossi camion e portato all'estero per uso alimentare.
Daniele Rescaglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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